Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
|
||||||||||||||||
|
Roma, Camera dei Deputati, 18 novemrbe 2002 MARCO BOATO, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor presidente della I Commissione, onorevoli colleghi, per quanto riguarda l'illustrazione dettagliata di tutto ciò che è opportuno riferire al Parlamento, in merito alla proposta di legge costituzionale oggi al nostro esame in prima lettura, rinvio al testo scritto della mia relazione. Cercherò, quindi, di contenere la mia relazione orale, considerando quella scritta parte integrante di quest'ultima, in modo più sintetico. Credo di essere, non solo personalmente, ma anche insieme ai colleghi presenti in quest'aula, ancora sotto l'eco, l'emozione e la commozione del discorso che il Papa Giovanni Paolo II ha pronunciato in quest'aula di fronte ai deputati, ai senatori ed al Presidente della Repubblica pochissimi giorni fa, giovedì 14 novembre. Mi riferisco, in particolare, a quell'accorato appello affinché, fatta salva la sicurezza dei cittadini, vi sia da parte del Parlamento la volontà di effettuare un atto di clemenza con una riduzione di pena tesa ad alleviare la drammatica situazione delle carceri. Personalmente e laicamente condivido tale appello. Dico laicamente perché l'importanza assolutamente priva di precedenti nella nostra storia di un discorso del Papa al Parlamento è evidente a ciascuno, ma è altrettanto evidente a ciascuno che il Parlamento, secondo lo spirito di laicità dello Stato di diritto, debba assumere autonomamente le proprie determinazioni. Vorrei a tale riguardo ricordare che la proposta di legge oggi in esame, firmata da deputati appartenenti alla quasi totalità dei gruppi presenti in questo Parlamento, era stata presentata il 15 maggio del 2002, quando neppure si immaginava una visita del Papa al Parlamento. L'esame in sede referente - come il presidente Bruno ricorda - da parte della Commissione affari costituzionali venne iniziato in estate, prima della pausa estiva, il 23 luglio 2002. Con ciò intendo affermare con forza che l'iniziativa che abbiamo assunto trova per alcuni aspetti una convergenza con quanto avvenuto solennemente giovedì scorso in quest'aula, ma ha una sua origine autonoma in una riflessione politico-costituzionale fatta da me e da molti deputati che l'hanno condivisa e sulla quale la I Commissione ha lavorato in numerose sedute nei mesi scorsi. L'obiettivo di questa proposta di legge di revisione costituzionale è molto semplice, ma anche molto rilevante. Si propone di modificare soltanto il comma 1 dell'articolo 79 della Costituzione, introducendo un nuovo comma 1, che reciti: "L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera". Come tutti sanno, fino al marzo 1992 nella nostra Costituzione vigeva un articolo 79 (approvato dall'Assemblea costituente dopo amplissimi dibattiti sia in sottocommissione sia in Assemblea), che prevedeva che la legge di delegazione al Presidente della Repubblica in materia di amnistia e di indulto fosse una legge approvata a maggioranza semplice da parte del Parlamento (come qualunque altra legge). Come tutti ricordano, nella fase finale della X legislatura, sotto l'impulso e l'emozione del dibattito che si verificò allora in riferimento al moltiplicarsi eccessivo dei provvedimenti di amnistia e di indulto nel corso dei decenni (si arrivò complessivamente a 20 provvedimenti di amnistia e di indulto, anche se l'ultimo riguardava esclusivamente i reati tributari), nonché a fronte delle attese e delle critiche dell'opinione pubblica rispetto all'eccessivo ricorso a questi istituti, venne introdotta, con una logica che allora non condivisi - fui uno dei pochi, mentre oggi su questa riflessione critica convengono anche molti altri -, una modifica costituzionale, probabilmente opportuna, ma di tipo per così dire "emergenziale", al punto che alla fine di un complesso iter parlamentare (vi furono infatti più di quattro letture, con varie modifiche che fecero la navetta tra Camera e Senato) si arrivò a introdurre nella Costituzione un quorum per l'approvazione delle leggi di amnistia e di indulto quale non è presente in nessun altro articolo della Costituzione: la maggioranza dei due terzi dei componenti delle Camere sia nel voto finale, sia nella votazione di ciascun articolo della proposta di legge. Credo che sia ormai sotto gli occhi di tutti, e che non sia quindi oggetto di polemica ma soltanto oggetto di registrazione storica, il fatto che l'introduzione per così dire "emergenziale" di questo tipo di quorum così elevato da non avere riscontro in nessun altro articolo della Costituzione abbia prodotto non l'obiettivo auspicabile e auspicato di una deflazione dei provvedimenti - che obiettivamente erano stati troppo frequenti nella fase precedente della storia repubblicana - bensì di fatto (non di diritto) la cancellazione dal nostro ordinamento giuridico degli istituti dell'amnistia e dell'indulto. Dal marzo del 1992 ad oggi (siamo alla fine del 2002) mai più nessuna legge di amnistia e/o di indulto è stata approvata dal Parlamento. È come se - forse senza volerlo intenzionalmente (le logiche emergenziali a volte hanno una sorta di eterogenesi dei fini) - di fatto si fosse soppresso questo istituto dal nostro testo costituzionale, perché - ripeto - nell'arco ormai di quasi 11 anni a questo istituto il Parlamento non è stato più in grado di far ricorso, pur essendo state presentate nelle passate legislature, in particolare nella precedente (la XIII), numerose proposte di legge sia alla Camera sia al Senato, in materia di amnistia e di indulto da parte di esponenti sia dell'allora maggioranza di centrosinistra, sia dell'allora opposizione di centrodestra. Ebbene nessuna di quelle proposte di legge, neppure in occasione del Giubileo - quando per quattro volte lo stesso Pontefice fece appello ai Parlamenti, perché provvedessero in questa materia -, riuscì ad ottenere, neppure ipoteticamente, la maggioranza dei due terzi, prevista dal vigente articolo 79 della Costituzione. L'attenzione a tale problematica non è emersa soltanto dallo scorso luglio, quando abbiamo cominciato a discuterne nella I Commissione, qui alla Camera. L'attenzione a tale problematica, vale a dire alla necessità di ritrovare un punto di equilibrio in questa materia, nell'ambito della seconda parte della Costituzione, emerse già - e non a caso - nel corso dell'amplissimo dibattito - affrontato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, la cosiddetta bicamerale, nel corso del 1997 - che riguardò tutta la seconda parte della Costituzione. Sia nella prima fase dei lavori della Commissione bicamerale (quella che si concluse nel giugno del 1997) sia nella seconda fase (quella che si concluse nel novembre del 1997) la Commissione discusse di questa materia e deliberò nella prima fase e confermò nella seconda la riduzione del quorum dei due terzi ad un quorum egualmente molto elevato, ma più equilibrato, vale a dire quello della maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Nel corso del dibattito, furono posti in votazione due identici emendamenti - uno sottoscritto dall'allora capogruppo dei Democratici di sinistra, onorevole Mussi, e uno da chi vi parla - che vennero approvati dall'intera Commissione, eccezion fatta per i rappresentanti della Lega nord. Quindi, da Alleanza nazionale fino a Rifondazione comunista, tutti i gruppi rappresentati nella bicamerale espressero un voto favorevole su tali proposte emendative. I due emendamenti furono approvati e il testo così riformulato costituì il primo comma del nuovo articolo 110 della Costituzione che, a seguito di coordinamento finale, poi entrò a far parte dell'articolo 101 della seconda parte della Costituzione, nel testo proposto dalla Commissione bicamerale. Come sappiamo, i lavori della bicamerale vennero poi interrotti, in quest'aula, il 2 giugno del 1998 e quindi quella deliberazione quasi unanime della Commissione non ebbe seguito. Da questo punto di vista, credo sia interessante - l'ho ripercorso più puntualmente nella relazione introduttiva al provvedimento e lo cito qui in modo sintetico - ricordare il dibattito che si svolse, nel 1946-1947, nell'Assemblea costituente: un dibattito che riguardò la Commissione dei settantacinque, le sottocommissioni e, ampiamente, l'Assemblea. Una prima parte di quel dibattito riguardò l'opportunità o meno di introdurre anche nella Costituzione repubblicana un istituto vigente nel regime monarchico. Sebbene il relatore, Giovanni Leone, si dichiarasse nettamente contrario a tale previsione, prevalse l'opinione opposta sostenuta, tra gli altri, dall'onorevole Togliatti, il quale sostenne che l'amnistia non è attributo della regalità (come aveva affermato l'onorevole Leone, aggiungendo che per questo motivo non poteva essere trasferito alla Repubblica), ma della sovranità: togliere alla Repubblica in quel momento tale attributo sarebbe stato politicamente un errore. Una seconda parte del dibattito, svoltosi nell'Assemblea costituente - di cui fu protagonista lo stesso Leone, che superò la sua precedente opposizione - riguardò il fatto se questa materia attenesse a quelle connesse con il potere giudiziario o, invece, alle responsabilità del potere politico. Anche in questo dibattito si confrontarono diverse posizioni e la conclusione, nella Costituente, fu nel senso che non si trattasse di materie attinenti al potere giudiziario, ma di materie inerenti l'esercizio del potere politico. Cito uno per tutti, perché è un costituente famoso: l'onorevole Tosato affermò che - apro le virgolette - "la concessione dell'amnistia, della grazia e dell'indulto è sempre espressione di un potere politico superiore a tutti gli altri poteri, sia quello esecutivo, sia quello legislativo, sia quello giudiziario". L'attualità di questo dibattito, ancora oggi, è evidente a tutti e dobbiamo ringraziare il servizio studi della Camera che, nel pregevole dossier, ancora una volta ha messo a disposizione di tutti i deputati l'amplissimo materiale documentale riguardante il dibattito nell'Assemblea costituente. Per questo, credo sia importante, a distanza di quasi undici anni dalla novella costituzionale del 1992, capire l'opportunità di superare quella che ho definito una sorta di logica emergenziale e di arrivare ad un punto di equilibrio tra la norma previgente, votata dall'Assemblea costituente e che prevedeva una maggioranza semplice, e, invece, una norma che preveda una maggioranza qualificata, ma inferiore ai due terzi dei componenti. Come ho già accennato prima, vorrei attirare l'attenzione dei colleghi sul fatto che in nessun'altra parte della Costituzione, in nessun altro articolo, è previsto un quorum così elevato, quale quello introdotto nel 1992 all'articolo 79. In questo momento stiamo discutendo una proposta di revisione costituzionale. Ebbene, per approvare questa proposta di revisione costituzionale, la Costituzione, all'articolo 138, prevede in prima lettura la maggioranza semplice e in seconda lettura, a distanza di tre mesi, la maggioranza assoluta dei componenti. La maggioranza dei due terzi è soltanto l'ipotesi che permette di evitare un eventuale referendum. Ma, come è successo recentemente per la disposizione transitoria che riguardava il divieto di rientro in Italia dei discendenti maschi della casa Savoia, laddove non si raggiunga la maggioranza dei due terzi dei componenti, la norma attende tre mesi per l'entrata in vigore: come sappiamo, il 10 novembre è entrata in vigore tale revisione costituzionale, che non aveva ottenuto la maggioranza dei due terzi dei componenti nell'approvazione in seconda lettura. Con l'attuale articolo 79, se una proposta di legge di amnistia e/o di indulto venisse discussa dal Parlamento e trovasse una maggioranza amplissima, ma avesse un solo deputato o - non "e", ma "o" - un solo senatore in meno rispetto alla maggioranza dei due terzi nell'approvazione dei singoli articoli o nel voto finale, sarebbe considerata bocciata dal Parlamento. Ciò fa capire quale sia il paradosso: un Parlamento, che approvasse una legge di amnistia e di indulto a maggioranza dei due terzi, meno uno, dei componenti alla Camera o al Senato, vedrebbe bocciata tale proposta di legge e, quindi, vanificata la volontà di un'amplissima maggioranza dello stesso Parlamento. Credo si tratti di un'anomalia. E credo sia arrivato il momento di superarla. Non è questo il tema del dibattito odierno, pertanto lo accenno soltanto: sappiamo che è aperto anche un dibattito a livello di legislazione ordinaria, vigente l'articolo 79, sulle eventuali misure di amnistia, di indulto o di sospensione condizionale della pena. Queste materie sono all'attenzione non della Commissione affari costituzionali, ma della Commissione giustizia della Camera. Io stesso ed altri colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione, abbiamo presentato e sottoscritto numerose proposte di legge. Si tratta di una materia che è opportuno che continui, anzi, che cominci a discutere per prima la Commissione giustizia. Mi auguro che, poi, arriverà a discuterla anche l'Assemblea. Sarebbe francamente singolare, per esempio, che nell'ambito della Commissione giustizia si trovasse un'amplissima convergenza e che una piccola minoranza del Parlamento, vigente l'attuale articolo 79, fosse in grado di condizionare in negativo la volontà della larga maggioranza, se ci fosse questa volontà. Un secondo aspetto è altrettanto singolare o sarebbe singolare, a mio parere. E lo dico sommessamente, avendo sottoscritto una di queste proposte di legge, la cosiddetta Pisapia-Buemi. Ho presentato due proposte di legge in materia di amnistia e di indulto. Ho sottoscritto la proposta di legge Finocchiaro. Ho sottoscritto la proposta di legge Siniscalchi. Ho sottoscritto anche la proposta di legge Pisapia-Buemi. Sono diverse ipotesi e sarà giusto che il Parlamento le esamini serenamente e pacatamente. Tuttavia, appare a mio avviso singolare che alcuni di coloro che sono contrari alla diminuzione del quorum dell'attuale articolo 79, siano poi favorevoli - addirittura l'abbiano sottoscritta - ad una di queste proposte di legge che ha come obiettivo, dichiarato e scritto in relazione, di aggirare il quorum elevatissimo dell'articolo 79. Quindi, da una parte si dice che non bisogna abbassare il quorum dei due terzi - secondo alcuni colleghi, legittimamente -, dall'altra parte, però, si sottoscrivono proposte di legge, cosiddette proposte di "indultino" - non a caso si usa questa espressione atecnica - che, attraverso la sospensione dell'esecuzione della pena - che condivido - avrebbero però effetti analoghi all'indulto, aggirando il quorum elevato. Quindi, l'approvazione avverrebbe non a maggioranza assoluta dei componenti (come prevede questa proposta se arriverà ad essere riforma costituzionale) ma a maggioranza semplice. Ritengo sia auspicabile un'ampia convergenza per non avallare qualunque potere di interdizione che si potrebbe realizzare rispetto alla volontà della maggioranza del Parlamento in materia di amnistia e di indulto qualora permanesse l'attuale articolo 79. (Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2750) MARCO BOATO, Relatore. Signor Presidente, non ho l'arroganza di voler replicare dopo questo dibattito. Mi limito a ringraziare il sottosegretario Ventucci per ciò che ha detto e per il fatto che si è rimesso all'Assemblea per le decisioni da assumere al riguardo. Ringrazio anche il presidente della I Commissione, onorevole Bruno, il quale ci ha accompagnati, oltre che in Commissione, anche nel corso di tutta la discussione in aula, nonché i colleghi Mascia, Saponara, Leoni, il presidente Maccanico, Luciano Dussin, Craxi, Cento, Bressa e Mancuso per il contributo che hanno dato al dibattito. Sarei ipocrita - ho detto che dobbiamo superare l'ipocrisia istituzionale - se nel ringraziare e nel rispettare tutti non parlassi del baratro culturale e politico che mi separa dalle cose, che pur rispetto, dette dal rappresentante della Lega nord Padania, Luciano Dussin. Ho ascoltato cose in questa Assemblea che fanno a pugni con la mia coscienza e con la mia posizione politica (pur rispettandole, come ho sempre fatto). Però, ringrazio tutti gli altri colleghi per quello che hanno detto e per come sono intervenuti. Ovviamente, mi riferisco ai colleghi che hanno convenuto sulla proposta che è al nostro esame, ma anche allo stile, all'alta elaborazione culturale e politica delle posizioni di parziale dissenso, emersi negli interventi del presidente Maccanico e del collega Leoni, che ci permetteranno, nel prosieguo, di approfondire il nostro dibattito. Tutto qui, Presidente, mi pare che fosse l'unica replica che dovessi fare.
|
MARCO BOATO |
||||||||||||||
© 2000 - 2024 EUROPA VERDE VERDI DEL TRENTINO webdesigner: m.gabriella pangrazzi |
||||||||||||||||
|